Corpo a corpo tra una
giornalista di oggi e William Shakespeare.
In scena due soli personaggi seduti a conversare
come in un qualsiasi talk show.
L’esordio dell’intervista è conformistico, quasi
nei modi della superficialità televisiva.
Gradatamente, il tono della conversazione si
inspessisce; la giornalista non nasconde più il suo inspiegabile,
profondo imbarazzo davanti allo sfuggente interlocutore, che, a seconda
delle domande e delle provocazioni, inizia a rispondere chiamando in
causa i suoi innumerevoli personaggi, con i quali la giornalista
si trova costretta, suo malgrado, ad interloquire.
La conversazione immaginaria diventa così
gradatamente un’incastonatura per singole gemme di monologhi più o meno
noti, occasione di rievocare la nutrita galleria di situazioni e
personaggi, mantenendo però sempre la struttura di dialogo socratico,
caratterizzato cioè dalla ricerca della verità (o di una possibile
verità), su William Shakespeare.
Lasciando di volta in volta voce ai suoi
personaggi, l’intervistato si conferma così alla giornalista sempre più
sfuggente e sempre meno disposto a lasciarsi interrogare in quanto tale,
guidando semmai egli stesso la conversazione su temi e ruoli a lui cari,
fino al coup de théâtre finale: in scena non è, e non può essere,
William Shakespeare, ma l’attore che lo interpreta, col suo
personalissimo e incomunicabile dramma, che finisce, suo malgrado per
presentarsi per quello che è: quasi una reincarnazione del poeta, capace
di distribuirsi in tutti i possibili ruoli a prezzo di una sorta di
rinuncia nei confronti della vita vera.
Colui che ha inventato infiniti caratteri è stato
così a sua volta semplicemente re-inventato…
Si riconferma in tal modo l’infinito gioco di
specchi del teatro, basato sul perpetuo rimando fra ciò che è e ciò che
appare.
Lo stile del dialogo è ironico, il ritmo molto
serrato, in contrasto con il rallentamento generato dalle parti
monologanti. L’evocazione dei diversi testi citati consente inoltre
alternanza fra commedia e tragedia.
Nessuna prevedibilità nella “partitura”, nessuna
rigidità cioè nel susseguirsi di dialoghi e monologhi secondo uno schema
fisso: questi ultimi si introducono inoltre nella conversazione
senza che il pubblico necessariamente li riconosca subito in quanto
tali, ma integrandosi naturalmente nell’intervista immaginaria per
essere contestualizzati e presentati solo in un secondo momento.
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