Quarto Usciamo. Destinazione cinema, uno qualsiasi. Periferia deserta, desertissima. Forse è iniziata l'Apocalisse. Di nuovo chi se ne frega. Però Winter non mi convince. Una domanda a cui non vorrei mai dover rispondere. Una domanda pesante come un macigno. E leggera come polvere. |
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Via dell'Orso: "Da via dei Portoghesi a via dei Soldati. Rioni Ponte e Campo
Marzio". -E se quello s'ammazza veramente? -Winter non sembra dare molto peso all'interrogativo, sta sparecchiando. Dubbi come briciole.. Nessuna risposta, le salsicce erano un po' bruciate e sapevano di albicocca, però ce le siamo finite. -Quello chi? Vedo l'occhio fuggevole e a palla di Cesare rivoltarsi verso di me. Un secondo. Lo so benissimo chi. Mi accendo una Philip ma non ne ho voglia. Faccio un paravento di fumo fra me e loro, non desidero guardarli in faccia. Embhè, se si ammazza? -Se si ammazza finirà all'Inferno. -Non ne ha il diritto. -Sì invece. Ha tutto il diritto di rifiutare una vita indegna, piena solo di sofferenze insopportabili. -Chi stabilisce il confine? |
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-Il padrone di quella vita. Si chiama "autodecisione". Zia Tosca dopo la chemio. L'umanità era tutta uscita dalla sua persona: non rimaneva che una donna d'ombra con una testa di quaglia, i capelli radi radi. Dentro le sue sofferenze, nessuno avrebbe mai potuto ficcare anche soltanto la punta del naso. Le sofferenze, come le scarpe. A ognuno le sue. -Cinema? -propone Winter, e ha già cambiato tono, il corvo sulla sua testa ha un po' schiuso l'ala. -Che farebbero? -Welles. Quarto potere. -Vecchiume. -Ma insuperabile. |
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Ha ragione, non c'è niente di meglio che gustarsi il già visto, sapere come va a finire. Anche gli anni di Bologna, degli indiani metropolitani, di Bob Marley e delle autoriduzioni nei cinema, me li rivedrei volentieri seduto in poltrona. Gli anni di Lucia, dolce e femminile anche se vestiva da uomo. Tutte le ragazze vestivano da uomo. Nemmeno una smorfia per farsi desiderare. E noi, in mancanza d'altro, le desideravamo lo stesso. Ma Lucia era un'altra cosa. I jeans maschili non trattenevano l'espandersi da lei di qualcosa di insolito. Già allora avrei voluto fotografare quel qualcosa senza riuscirci, e solo oggi riesco a dargli un nome. "Grazia'." -Vabbè, andiamo al cinema, dai. Cesare non esprime dissenso: dunque approva. I suoi capelli rossicci sotto i lampioni sembrano un'aureola. Un minuto e siamo finiti già in strada, sono le otto e venti, c'è un freddo esagerato perché questo sia un ottobre qualunque. C'è anche un silenzio spettrale, e quasi nessuno in giro. Forse hanno annunciato la fine del mondo e noi eravamo distratti. Ma su Internet non c'era. Su Internet c'era solo l'annuncio di un suicidio, la bandiera di un'eutanasia. Quand'anche fosse, Winter apre la Bravo del padre parcheggiata di traverso sul marciapiede e ci si butta dentro. Prima dell'apocalisse, Quarto potere vorrei proprio rivedermelo un'altra volta pure io, così non penso al mio male, così non penso ad Anna, che del mio male si sarebbe fatta una bella risata. Mi infilo accanto a lui, Dio che freddo che fa. Cesare, invece, dietro come un pacco. Chiavetta. Motorino. Accensione. Nessun segnale in risposta. Le spie del quadro, buie. |
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-Maledetto! -Winter da una
manata sul volante, quasi si ferisce. La macchina non parte, però la
reazione è esagerata. (Via dell'Orso ventuno. Via dell'Orso ventuno.) Insiste, tormenta l'avviamento, si direbbe che manchi elettricità. -Secondo me è la batteria. Altra manata. -Scusa, andiamo a piedi, no? Facciamo in tempissimo. Sono nemmeno le otto e mezza... Anzi, prima ci fermiamo da Nanni e ci facciamo un bicchierino, così ci scaldiamo un po'.... Mi guarda disarmato, arreso all'evidenza che qualcosa mi sfugga. Il celeste degli occhi gli si annacqua, la bocca gli si tira appena. Fa uno di quei suoi sospiri trattenuti, quando sembra che voglia ingoiarsi il cielo intero, e poi invece non dice quasi nulla. Con educazione, spiega: -No. Devo prima passare da un'altra parte. E devo arrivarci in macchina. Silenzio. |
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Silenzio come quella volta alla messa per il fratello di Cesare. Non era un morto da compiangere. Era un morto da additare. Era un morto che se l'era cercata. Era un morto di cui non restava più neanche un cadavere. Solo brandelli.
"Per fortuna!", commentavano gli stronzi borghesi
benpensanti. Solo "poveri resti", annotavano, scontati, i cronisti. "Finissero tutti così, questi assassini!" "Pena di morte! PENA DI MORTE!" In fondo era una specie di suicida, per questo non meritava neppure uno sputo di rispetto. -Okay allora andiamo. - Winter esce fuori, ci ha ripensato. -Andiamo al cinema, non fa niente. A piedi. E basta. |
Disegno di Roberto Colangeli
Cesare ansima. Punto linea punto linea. Se il buio pesto del suo cervello si diradasse, ora andrebbe verso i chiaroscuri di una domanda... (Via dell'orso ventuno. Ven -tu -no.) Che faccio? Vuoto il sacco adesso? Glielo dico, a Winter, che sto male, che mi sono paralizzato, che mi hanno trombato e che ho pure ceduto la mia Honda? Disfatta completa. Così smette per sempre di adorarmi, di immaginarmi eroico sulla mia avventurosa cavalcatura alla conquista del mondo. -Non vogliamo chiamare Uccio e Bea? -fa all'improvviso, con quella sua mitezza, che poi è ancora e sempre educazione, una specie di riguardo per chi la pensasse diversamente da lui - Forse gli va di venire con noi.... Perché no? Però è una proposta che non mi convince. Una forza fluida mi spinge tuttavia a infilare la mano in tasca. Il Panasonic viene incontro all'indice anchilosato, scostante della sua anima metallica. -Tieni. Chiamali dal mio. -No, chiamali tu, sarà meglio. Lo guardo. Infotografabile. In un momento gli è affiorato sulla pelle un grigiore che lo rende opaco, senza sguardo, senza più... grazia. Che hai? Mentre digito con la sinistra il numero di Bea, lui mi tira per una manica: -E se quello là si sta sparando per davvero? -stavolta è esplicito, e quasi allarmato. Pretende una risposta. -Ma non dovevamo andare al cinema? Non molla la manica. La sua stessa domanda non molla la mia mente da almeno mezz'ora. |
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-Dài, ripetilo con me: e se si stesse sparando per davvero? Ma proprio per davvero? ....Tito aveva solo ventidue anni. Era diventato il nostro Jan Palach. A un anno dal fattaccio, scoprii quello che non sapevo: gli avevano diagnosticato un tumore.... Allora per cosa, si era sparato?.... Per esaurimento di ideali o per semplice disperazione? Fu virile protesta o vigliacca fuga? -Di lui non ti è rimasta neppure una fotografia... Nell'assenza di una decisione, i piedi hanno preso il sopravvento, ci hanno fatto scendere dalla macchina e trascinati fino a piazza Tuscolo. Un gruppo di marinai ci sfiora, sparpagliando all'aria risate, davvero è come se fosse l'ultima notte del mondo, e queste, le ultime risate dell'umanità, sparate in faccia alle stelle. Cesare, muto alle mie spalle, senza sfiorarmi neppure per sbaglio, mi preme addosso come una massa silenziosa d'acqua opprime una diga già piena di crepe. |
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-Era questo il posto dove dovevi passare prima del cinema? -domando. -Forse. -ora fa l'evasivo. Gli si avvicina una, è come uscita dal buco di una serratura, ecco perché i marinai ridevano forte. Deve essere albanese, o bosniaca, ha le labbra rosa fosforescenti, le cosce inguainate in calze tipo lurex, lo prende dolcemente per il bavero, gli sorride, gli tira un bacio con due dita, poi se ne va. -Se chiami Bea, forse possiamo farci prestare la Polo... -riprende lui- Con la macchina, che ne dici? ... in un quarto d'ora ci siamo...- rallenta, è come se ci ripensasse, cerca di darsi un tono.- Così... Ci facciamo un salto... giusto per darci un'occhiata... E magari Uccio .... Uccio ci accompagna. |
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-Senti, io faccio il fotoreporter! Lavoro per riprendere quello che accade, posto che qualcosa accada! Non per cercare rogne!
Ho rischiato le palle un milione di volte, ma mi pagavano! Occhieggia lungo, ferito a morte. Dalla spalla mi ciondola lei, la mia Fedele: unico promemoria costante, unica fede, unico amore della mia vita, nonostante gli incerti professionali, le carriere sacrificate, gli scavalcamenti, le crisi.... |
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Tuttavia non so ancora perché non dico quello che penso; e non so perché penso quello che, in fondo, mi ripugna. La rabbia per ieri non c'entra più. Forse sto solo cercando di verificare quanto Winter creda in quello che dice. Forse sto solo cercando di verificare che è ancora possibile credere in qualcosa. O forse ho paura. -Invece di chiamare Bea al telefono, andiamoci direttamente! -propongo, domato- Magari in un attimo ci ridimensiona tutti! Lo sai com'è materna... Ci pensa. -Andiamoci, così ci presta la Polo. E Uccio ci accompagna.- ribadisce. E sorride, ma sempre con quella sua severità, imbarazzante in uno che è ancora lontano dalle età dei bilanci. Insomma ancora non molla. |
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Il labbro superiore gli scopre per un secondo i denti, ma un suo riflesso automatico di innata pudicizia gleli fa rioccultare un secondo dopo, costringendolo ad ingoiarsi il sorriso, nella certezza che non c'è proprio niente per cui sorridere, in un momento come questo. -Però se c'è uno che ha scelto di morire, dobbiamo rispettarlo.-dico io. -Non si può scegliere di morire. -dice lui. |
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-Tanta gente l'ha fatto e continuerà a farlo. E' una scelta come un'altra. -E il morire che ci sceglie. E' solo il dolore che ci frega. Sono stanco, non posso reagire più. Le fauci scure della piazza ci sospingono verso via Britannia, con architettonici rigurgiti di ombre, tra marciapiedi e fanali. Il mio dolore non posso darlo a nessuno. E quello altrui, non me lo posso caricare. Cesare, sempre alla deriva e sempre alle nostre spalle, sembra respiri adesso con un certo affanno. Punto linea, puntolinea. Sono stanco, non decifro. Un affanno che un tempo non gli avevo mai sentito. |
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